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Studio Dentistico Dr. Gullo Vivaldi - Novi Ligure  
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30-05-2014

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STUDIO DENTISTICO NOVI LIGURE DR. GULLO VIVALDI

tratto da "
crescita-personale.it"



Forma espressiva che non necessita di parole aggiuntive, poiché il messaggio implicito è codificato dunque universalmente compreso, il sorriso è forse il primo tra i gesti del corpo con il quale “incontriamo” l’essere umano che ci sta di fronte. Reso possibile dai muscoli facciali, il sorriso appartiene alla categoria dei gesti primari innati ed ha, a tutti gli effetti pratici, un unico scopo: la comunicazione. Se da una parte si ritiene il sorriso pre-programmato in misura decisiva, ovvero che allo stimolo in entrata il cervello scatena la reazione in uscita senza alcuna precedente esperienza, dall’altra si obbietta che anche l’apprendimento giochi un ruolo importante: il neonato copia il gesto dalla madre. Probabilmente solo un bambino che non abbia mai visto il proprio genitore sorridere potrebbe svelare l’arcano.

 

I gesti, per definizione, trasmettono segnali e devono pervenirci con chiarezza, al fine di poterne comprendere i messaggi impliciti. È fondamentale che siano netti e penetranti, così da non essere confusi con altri simili. A tal motivo, devono sviluppare una forma che abbia un grado di variabilità relativamente basso. Inoltre, è necessario che siano trasmessi con un’intensità tipica, ovvero essere di una rapidità, di una forza e di un’ampiezza abbastanza costanti in tutte le occasioni in cui vengono utilizzati. Sebbene sia importante che l’ambiguità venga ridotta al minimo, è ovvio che i gesti umani non avranno mai un’intensità  fissa. Vi è, poi, una ragionevole probabilità che essi siano uguali a quelli di un’altra persona che voglia inviare lo stesso tipo di messaggio, dimostrando che si sono evoluti secondo una comune norma culturale.

 

Insieme, sintonizziamo le intensità dei nostri gesti, come se operassimo tutti di concerto, sotto il controllo di un invisibile direttore d’orchestra culturale, ma come sempre nella sfera del comportamento umano, questa regola generale ha le sue eccezioni. Sui temi culturali abbiamo, infatti, idiosincrasie personali e variazioni individuali che determinano, però, un proprio stile di comportamento, piccole differenze, in paragone alla generale conformità, che possono diventare importanti etichette personali.

 

L’atto di sorridere indica, in linea generale, una disposizione al contatto relazionale ed in alcune circostanze, come ad esempio in situazioni imbarazzanti, arriva ad essere un preciso segnale sociale con significato “pacificatore”, a differenza della risata, che può avere una motivazione aggressiva (ridere di se stessi o deridere). I sistemi interpersonali possono essere considerati circuiti a retroazione, dove il comportamento di ogni persona influenza ed è influenzato dal comportamento di ogni altra. Ecco perché il sorriso arriva ad essere “contagioso”, generando in chi lo riceve la stessa risposta comportamentale, fino a smorzare conflittualità dove presente e moderare l’aggressività, come se fosse proprio un lubrificante sociale.

 

Un individuo con una dentatura molto bella avrà più probabilmente un sorriso intenso ed aperto, che esibirà in situazioni moderatamente stimolanti, mentre un altro, che si vergogna della propria, terrà le labbra più chiuse anche nei casi di forte stimolazione. Il fatto che il sorriso sia in testa agli interventi che gli italiani richiedono a fini estetici dimostra che sia uno tra gli indici di bellezza ricercati ed è plausibile sostenere che chi ne richiede il miglioramento sia motivato dal bisogno di piacersi, al fine di acquisire una maggiore sicurezza interiore. Se è possibile che denti perfetti liberino più facilmente un sorriso, è altresì vero che denti imperfetti non ne intaccano affatto il calore, poiché il sorriso sincero lascia trapelare un’emozione che è espressione del cuore e non della dentatura.

 

Il sorriso racchiude, quindi, un aspetto di relazione, veicolato dal linguaggio etologico-empatico (extra-verbale) che indica qualcosa tipo “che piacere averti qui”. Eppure questa non sempre è l’intenzionalità del soggetto che ne fa mostra. Ciò che avviene sul volto umano è così presente alla coscienza che mentire con un sorriso può riuscire facile. Richiamando semplicemente alla mente l'immagine prefabbricata che se ne ha,  è possibile farne mostra per calcolo deliberato, più che per segnalare uno stato d’animo positivo nei confronti dell'interlocutore. Da gesto di calore, vicinanza, apertura, diviene così anche solo un mero rituale sociale. In questo caso, il sorriso può essere semplicemente una forma di comunicazione extra-verbale prevedibile e sicura, che ha valenza di cortesia formale, caratterizzata dal mantenimento delle distanze e dal forte convenzionalismo, se non addirittura pura strategia per ottenere determinati risultati.

 

Caso piuttosto simile è quello in cui il sorriso viene adottato quale risposta comportamentale "adatta all’occasione”, gesto mimico menzognero simulato per compiacere l'interlocutore. Tutto ciò dimostra che il linguaggio analogico è caratterizzato da una semantica adeguata sul piano  della relazione e del comportamento, ma non possiede un’adeguata sintassi per poter eludere l'ambiguità. Al contrario, il linguaggio digitale dispone di una semantica precisa, ma manca di una semantica relazionale.

 

Il messaggio di relazione che indica calore giunge all’interlocutore nella sua pienezza solo se il sorriso non mostra elementi di incongruenza con i molteplici e simultanei messaggi extra-verbali di altre parti del corpo. Se si sorride quando in realtà non si desidera farlo, il volto sarà probabilmente un poco distorto dalle tensioni del volto, espressioni facciali molto più difficili da falsificare. Gli occhi, per esempio, possono amplificare o ridurre la sincerità del sorriso, a seconda che siano intensamente fissi sull’interlocutore o sfuggenti; le labbra, rigidamente serrate o distese, possono intaccarne la spontaneità; gli angoli della bocca, piegati verso il basso o verso l’alto, ne possono smorzare o esaltare l’intensità; il tronco del corpo, se rigido e teso riflette distacco e ritrosia, se proteso in avanti evidenzia disponibilità all'incontro; la testa, china o eretta, denota rispettivamente chiusura o apertura; le sopracciglia, se sollevate rapidamente indicano riconoscimento e gradimento, se sollevate lentamente mostrano disappunto. Perfino la durata può svelarne la vera natura: un sorriso che balena rapidamente su un volto e svanisce con uguale rapidità è sicuramente meno vero di uno che impiega qualche frazione di secondo in più per raggiungere la sua piena forza ed altrettanto tempo prima di scomparire. Infine, anche un sorriso esagerato, effettuato con troppa intensità rispetto al suo particolare contesto, riesce immediatamente sospetto.

 

A complicare la questione si aggiunge il fatto che, benché diffusi a tutto il genere umano, i gesti espressivi sono soggetti a considerevoli influenze culturali, tanto che anche un'azione innata può essere modificata da pressioni sociali. Nelle stesse occasioni, non sorridiamo, infatti, né allo stesso modo, né con uguale frequenza. I bambini cominciano con l’essere facili al sorriso e alla risata, ma una tradizione locale può inibirne la spontaneità nelle femmine, insistendo che è bene per una donna essere schiva e riservata con l'avanzare dell'età. Ai ragazzi, invece, può essere insegnato di nascondere i sentimenti quale segno di mascolinità, col risultato che, insieme alle lacrime, li si vedrà inibire anche il sorriso o la risata a gola spiegata. In definitiva, sembrerebbe che si erediti l’azione grezza, per poi rifinirla con l’esperienza sociale. Una persona appartenente ad una cultura espansiva potrebbe giudicare insincero il sorriso di un’altra appartenente ad una cultura riservata, quando in realtà trattasi solo di una forma espressiva attenuata e veicolata dal contesto culturale di appartenenza. In questo caso diviene importante sapersi sintonizzare sulla particolare lunghezza d’onda della cultura con la quale si entra in contatto.

 

Come chiarire, dunque, la natura di un sorriso? Sarà l’interlocutore che, osservando la gestualità altrui nella sua completezza e fidandosi delle proprie capacità intuitive, ne definirà l’essenza: gesto di circostanza o autentica espressione dell’anima. La congruenza tra i vari segnali emessi dal corpo può essere un buon indicatore. Pur non avendo consapevolezza piena del codice analogico, istintivamente gli attribuiamo maggior importanza, probabilmente anche in virtù del fatto che si è attestato per primo, concedendogli  maggior fiducia, ma è sempre utile operare delle verifiche, poiché non sempre i segnali analogici sono univoci. Inoltre, ognuno, secondo la propria personalità, i propri filtri culturali, la propria educazione, sarà più o meno incline ad interpretare il sorriso altrui come un gesto di accoglienza o un gesto forzato. Espressione del secondo caso è colui che, in linea generale, non ha una buona opinione degli altri, ha una bassa autostima, o, al contrario, eccessivamente alta, al contrario di un soggetto di natura solare, con solidi confini interiori, meglio predisposto a decifrare il mondo secondo elementi di positività. “La bellezza delle cose esiste nella mente di chi le osserva”, diceva, infatti, David Hume.

 

Infine, non va scordato che il sorriso funge da sostegno terapeutico. La terapia della risata ha effetto di stimolazione sul sistema immunitario, fungendo da antidepressivo e antidolorifico. Alcuni studi hanno dimostrato che l’utilizzo dei pagliacci in terapia diminuisce di circa il 20% l’utilizzo di analgesici e del 50% la durata delle degenze dei bambini. Il sorriso può durare solo un istante ma talvolta il suo ricordo è eterno.